Vanni Scheiwiller
1996

Fare l’elogio delle edizioni bresciane "l’Obliquo" vuol dire parlare di Giorgio Bertelli, che si autodefinisce oltre che «minieditore» soprattutto pittore o meglio disegnatore e incisore.
Di Bertelli grafico i milanesi hanno potuto ammirare Testi e tavole nel novembre del '94 in occasione della sua mostra personale presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani, presentato in modo eccellente da Fulvio Panzeri:
«La storia dell’editoria è composta non solo di libri realizzati, ma anche di progetti e di discorsi che, per un motivo o per l’altro, non sono potuti diventare libro concreto. Eppure è come se quelle pagine che il tempo non ha permesso di comporsi fossero state realmente scritte e incise da un piombo che non lascia segni di scrittura, ma vibra anche dentro la memoria. Forse sarebbe interessante, almeno per la piccola editoria, non solo una storia del catalogo, come effettivamente viene fatto o come le mostre identificano, ma un itinerario nel catalogo 'progettato', in quella 'utopia' dei libri che si sono fermati alla forma del pensiero, del sogno, forse ad uno stato, simbolicamente, grembale.»
Esemplare, per meglio conoscere l’artista-editore, è la sua testimonianza nel numero 9 della rivista "Panta" dedicata a Pier Vittorio Tondelli (Bompiani, Milano 1992) dove la vocazione di editore è rafforzata dall’incontro con lo scrittore emiliano precocemente scomparso, ed è l’estate '87, un paio d’anni dopo il suo esordio editoriale:
«Il mio primo incontro con Pier Vittorio Tondelli avvenne nell’estate del 1987, con la lettura di Altri libertini nell’Universale Economica Feltrinelli: parecchi anni dopo, quindi, la prima uscita del libro nella collana i Narratori. Questa lettura "ritardata" (come qualche volta, inspiegabilmente, mi capita e sempre con esiti felici) fu sicuramente casualità fortunata: mi permise un approccio non condizionato - se non in minima parte - dall’esperienza generazionale, dal coinvolgimento anagrafico (Tondelli è nato nel 1955, io nel 1957) e culturale, dai sentimenti, dall’ideologia, dalle scoperte, da insomma tutte quelle cose che il libro racconta e che molti, della mia generazione, hanno in tutto o in parte sperimentato; ne risultò una visione più pacata, più "fredda", con un’attenzione maggiore non solamente alle cose narrate, ma anche soprattutto, a come venivano raccontate.
Alla lettura di Altri libertini seguì, in pochi giorni, quella degli altri romanzi nel frattempo usciti, Pao Pao e Rimini, di Biglietti agli Amici.
Da poco più di un anno avevo iniziato una strana, magica, solitaria avventura: erano nate le Edizioni l’Obliquo, la mia piccola, piccolissima casa editrice, un sogno a lungo inseguito e finalmente concretizzato; nel 1986 erano usciti i primi titoli: Dei confini della poesia di Franco Fortini, Crollo nervoso dei Magazzini Criminali (che erano da tempo in rapporto di amicizia e di lavoro con Pier Vittorio), una mia raccolta di disegni ispirati al libro dell’Ecclesiaste, e Amy Foster, una struggente storia di Joseph Conrad, seguiti, nei primi mesi del 1987 da due racconti di Jack London e da uno di Aldo Busi.
Mi parve naturale pensare a Tondelli come ad uno scrittore 'obliquo', che bene si sarebbe inserito nel programma editoriale, legato alla narrativa italiana contemporanea, che stavo definendo con autori come Sebastiano Vassalli, Attilio Lolini, Raffaele La Capria, Vincenzo Consolo, Valerio Magrelli (per citarne alcuni): non era quindi una linea di "tendenza" o generazionale, ma scelte che scaturivano da quell’eclettismo che fin dall’inizio ha caratterizzato la mia casa editrice. Dopo l’estate, nell’ottobre 1987, scrissi a Tondelli presentandogli la mia attività, gli spiegai che i libri erano stampati in poche centinaia di copie, di cui una parte accompagnati da una grafica originale (acquaforte, litografia, serigrafia, ecc...) realizzata da amici pittori, gli accennai all’aspetto non commerciale di tutto ciò, ai sensibili incoraggiamenti e alle generose collaborazioni che avevo riscontrato in un ambiente, quello appunto dell’editoria, per me quasi totalmente sconosciuto (il mio lavoro era ed è quello di pittore), chiedendogli infine se poteva darmi, a sua totale discrezione, uno scritto in sintonia con tutto questo.
La risposta di Pier Vittorio fu immediata e la disponibilità palese (...)»
La morte di Tondelli impedì la realizzazione di Sante Messe (dodici racconti ispirati ad altrettante Messe a cui aveva assistito) che sarebbe dovuto uscire nelle edizioni "l’Obliquo". Rimase alla fase progettuale e l’autore indicò solo la forma del libro in alcuni appunti.
Di questa bella impresa editoriale che avrebbe concretizzato la collaborazione tra Bertelli, pittore ed editore, e Pier Vittorio Tondelli scrittore, rimangono quattro disegni dell’editore- illustratore e il suo grosso rimpianto.
Non sarà certo l’unico libro irrealizzato nella sua carriera di piccolo editore che gli auguro lunghissima: per festeggiare le mie nozze d’oro coi libri, nel 2001 (ho iniziato diciassettenne alla fine del 1951) conto di pubblicare il Catalogo dei libri che non ho pubblicato, delle occasioni mancate, delle speranze tradite e sarà un catalogo bellissimo, tutto di libri bellissimi, senza paragone con quanto ho saputo realizzare.
L’anno di esordio dell’artista-editore è il 1985 e dell’ '86 Il mio Cohélet, prefazione di Giannetto Fieschi e una nota di Attilio Lolini. Due nomi cari a Bertelli: il debito surrealista, che paga non solo a messer Giannetto Fieschi ma anche l’affinità con un critico-poeta-traduttore come Attilio Lolini.
I miei furori "astratti" mi inducono a privilegiare l’editore Bertelli al grafico, nonostante faccia tanto di cappello al suo lavoro d’artista avallato da una Carmen Covito (Echi d’ombra e chimere della mente, Galleria dell’Incisione, Brescia 1988), da Vittorio Sgarbi, Valerio Magrelli, Sebastiano Vassalli, Vito Ventrella (Notti senza fine, AAB, Brescia 1992). Per non parlare di Piccolo Requiem presentato da Francesco Scarabicchi (Prospettive Grafiche, Brescia 1992) o L’ultima lettera di Vlad il Vampiro di Gianni De Martino con una nota di Massimo Raffaeli (nelle simpaticissime Edizioni di Barbablù, Siena 1993). Altre tappe del suo lavoro d’artista: Tenebrae Responsories (1994), Ma l’amor mio non muor (Brescia 1994), la Via Crucis con Francesco Scarabicchi, omaggio a Giovanni Testori e uno scritto di Vincenzo Consolo (Edizioni Sestante, Ripatransone, Ascoli Piceno 1994).
Sono questi ultimi cicli realizzati a grafite e collage su incisioni a bulino dell’ '800 che mi convincono di più, come pure il Diario di Càlena, testo del sodale Francesco Scarabicchi, introduzione di Claudio Piersanti ed edito dalla benemerita Stamperia dell’Arancio (Grottammare, Ascoli Piceno 1995): un segno sottile e leggero che tanto mi piace più del suo vecchio surrealismo un po' truce; e ormai siamo arrivati a quest’anno con la Piccola suite per Malcolm Lowry (Brescia 1996) e Dolcissimo nero: per Malcolm e Philip (Ancona 1996). Negli ultimi cicli è più che evidente la sua scelta «postmoderna».
Ed eccoci finalmente all’editore e al suo catalogo, per cui sono molto lusingato di presentarlo. Sono forse il più vecchio dei piccoli editori (da quarantacinque anni faccio come meglio posso il mio mestiere) ma sono anche un maniaco bibliofilo, un autentico libridinoso.
Intrigato fin dall’insegna editoriale delle edizioni bresciane "l’Obliquo". Obliquo è infatti una parola ambigua, che secondo il Devoto-Oli dicesi di ente geometrico la cui posizione non consenta riferimento al criterio del parallelismo né a quello della perpendicolarità. Per un piccolo editore che opera dall’ '85, "in povertà di mezzi, ma con un itinerario a sorpresa" (Fulvio Panzeri) l’aggettivo è perfetto: Franco Fortini a confronto con gli sperimentatori dell’avanguardia teatrale dei Magazzini Criminali, gli accoppiamenti giudiziosi (editoriali) di Aldo Busi con Vittorio Sgarbi, ma anche Savinio e Céline, Kuzmin e Queneau, Sebastiano Vassalli e Attilio Lolini (il diavolo e l’acqua santa) e poeti come Valerio Magrelli e Francesco Scarabicchi...
"L’Obliquo" appunto: segni alfabetici, e grafici, è stato detto, che contribuiscono a popolare la possibilità di dare una forma non anonima al libro. L’editore onestamente li chiama "libri con grafica" senza cadere nella generica se non equivoca dizione di libri d’artista.
Sono le parole che si incontrano con i segni: infatti, oltre all’edizione normale ("libera") di quattrocento copie, c’è una "riserva" di cento numerate con ognuna una grafica originale (acquaforte, serigrafia, litografia) appositamente realizzata da artisti affermati o da giovani emergenti (Schifano, Accardi, Paolini, Ontani, Ceccobelli, Icaro, Salvo, Boetti). Obliquo vuol dire pure indiretto, in senso figurato ma non in senso poetico che vuol dire anche ingiusto, avverso. Eppure l’editore deve essere anche ingiusto e avverso verso i cattivi poeti, i cattivi scrittori, i cattivi artisti, i cattivi illustratori: che sono sempre la maggioranza. Per il Tommaseo (Dizionario dei Sinonimi, 1830) "molti strumenti, perché sian buoni, devon esser torti", in un certo senso obliqui, come i bei libri del nostro piccolo editore. "Obliquo, contrario di perpendicolare". Dove la grande editoria non può essere che perpendicolare, mentre la piccola è sempre, faticosamente, obliqua.
Auguri dunque al catalogo decennale delle edizioni "l’Obliquo": piccoli libri sobriamente eleganti, buoni testi quando non eccellenti così come gli artisti che li affiancano. Benvengano collane come «Interferenze», inaugurata nell’ '86 da Franco Fortini (Dei confini della poesia) e continuata da testi rari tra '800 e '900 e contemporanei: Joseph Conrad, Jack London, Aldo Busi, Raffaele La Capria, J. Rudyard Kipling, Prosper Mérimée, Vittorio Sgarbi, Louis-Ferdinand Céline (tavole di Paolo Icaro), il caro Goffredo Fofi, due libri del poeta russo Michail A. Kuzmin (straordinarie le poesie di La trota spezza il ghiaccio, a cura di Pia Pera, 1994), due di Antonin Artaud (tavole di Giulio Paolini e di Sol LeWitt), Vladimir Nabokov, Karl Kraus, Georges Bataille, Jean Genet, Claude Simon, Clemens Brentano, Leonid Andreev...
Nella collana «Polaroid» iniziata nell’ '88 con copertine colorate a pastello e oggi un semplicissimo ed elegantissimo cartoncino bianco, si incontra Valerio Magrelli (Il viaggetto) accanto al simbolista Pierre Louÿs, e altri classici francesi del nostro secolo come Raymond Queneau, Boris Vian, Antonin Artaud, per finire con Marradi di Lolini e Vassalli Chaplinata di Yvan Goll e vari italiani viventi.
Altra collana è «Ozî» dall’ '88 (sì, con l’accento circonflesso un po' vecchiotto): più legata ai poeti vicini all’editore, tra cui Scarabicchi, Lolini, Silvio Ramat e Franco Buffoni e uno splendido Antonio Machado tradotto da Scarabicchi.
Dei primi anni 90 la collana «Proiecta» e sempre godibili quelli «Fuori collana» a partire dal "protoObliquo" lsidore Ducasse conte di Lautréamont, I canti di Maldoror, sette brani scelti dal primo canto, del gennaio 1985, in soli duecento esemplari, di cui cinquanta contengono una incisione originale dello stesso editore e poi Dall’oggi al domani di Alighiero e Boetti (1988) e ancora due libri a me particolarmente cari: Introduzione a una vita di Mercurio di Alberto Savinio con otto tavole di Luigi Ontani (1990) e Lettere a Franco Scataglini di Carlo Betocchi (1991), per non dire del Juan Román con tavole di Carla Accardi (1990), Gianni D’Elia presentato da Roberto Roversi (1991) e l’Ecclesiaste letto da Lolini e prefato da Fortini con tavole di Salvo (1993).
Insomma, come i migliori tra i "piccoli editori", Bertelli e "l’Obliquo" tendono coraggiosamente, con serena caparbia disperazione, alla ricerca, anzi al recupero del lettore che non vuol farsi condizionare, del lettore insofferente per i libri programmati, ansioso di scrittori italiani e stranieri, di artisti italiani e stranieri non inseriti nel «sistema» dell’editoria odierna, al di fuori cioè della commercializzazione.
Anche il suo catalogo insomma è alla ricerca del buon lettore a sua volta alla ricerca dei «libri sommersi», stanco di un’editoria plagiata (da altre industrie) che non lo considera affatto: eppure è l’utente.
Il lettore delle edizioni "l’Obliquo" a difesa di se stesso, della sua privacy nelle ore di lettura a casa sua, vuole qualcosa che sia oltre il libro che ottiene più successo in quanto capace di interpretare l’esigenza della moda (non necessariamente letteraria) e della logica industriale.
Auguri, caro Giorgio Bertelli, per altri decenni ancora.

tratto da: Edizioni l’Obliquo 1986-1996: dieci anni di libri e grafiche, AAB Edizioni, Brescia, 1996