POL020
Yvan Goll

Chaplinata

Polaroid 20
Dicembre 1995
17 x 12 cm
28 pagine
11 euro

Di questo volumetto sono stati ultimati presso la tipografia La Grafica cinquecento esemplari, sessantacinque dei quali contengono, fuori testo, un’acquaforte di Francesco Vella, stampata a mano con torchio calcografico su carta Zerkall Bütten.

A cura di Massimo Morasso.

Nato nel 1891 a Saint Dié des Vosges da padre alsaziano e da madre lorenese d’origine ebraica, Isaac Lang (Yvan Goll non è che il più fortunato tra i suoi pseudonimi) si laurea in giurisprudenza a Strasburgo nel 1912. Le prime raccolte fino al ditirambo Der neue Orpheus (1918) passando per le varie redazioni del poemetto Der Panamakanal (1912-1924) risentono del clima espressionista entro il quale sta maturando la sua precoce vocazione poetica. Allo scoppio della guerra emigra in Svizzera. Qui, dove si è rifugiata buona parte della migliore "intellighenzia" europea, conosce Arp, Werfel, Zweig, Joyce (del cui Ulysses si farà, in seguito, promotore e editore a Parigi), Richter, Eggeling, Jung, Romain Rolland e i pacifisti raccolti intorno al Nobel francese come Pierre-Jean Jouve e Guilbeaux. Nel 1915, con Elégies Internationales, dà inizio alla sua produzione in lingua francese. Al termine del conflitto, nel 1919 si trasferisce a Parigi insieme a Claire Studer, giovane poetessa destinata a diventare sua compagna di vita e Musa ispiratrice di una fluviale poesia amorosa. Affascinato dal magistero poetico di Apollinaire, nella capitale francese Goll si avvicina all’ambiente cubista e frequenta, tra gli altri, Majakovskij e Marinetti. Nel suo Manifesto del Surrealismo, del 1924, teorizza in contrasto con Breton un paradossale surrealismo esplicitamente antifreudiano. Tra il 1925 e il 1927 pubblica varie plaquettes scritte a quattro mani con la moglie. Gli anni intorno al '30 sono dominati nella produzione golliana dal tema ossessivo (centrale almeno nelle prose tedesche di Der Mitropäer e Die Eurokokke e in quelle francesi di Lucifer viellissant e Sodome et Berlin) della decadenza e della crisi irrimediabile dell’Europa. Successivamente alla pubblicazione di tre cicli di ballate incentrati sulla figura largamente autobiografica di Re Giovanni Senza Terra, nel 1939 Goll si sposta a New York, dove scrive i versi inglesi di Fruits from Saturn ('46). Al 1944 risale la diagnosi medica che lo rivela affetto da una grave forma di leucemia, malattia che lo condurrà non ancora sessantenne alla morte. Rientrato in Francia, dal 1948 al settembre 1949 è ricoverato nell’ospedale di Strasburgo. In quest’anno cruciale compone la maggior parte delle liriche di Traumkraut e di Neila, le sue raccolte più intense, e la singolare silloge di sonetti alchemico-cabalistici di Le Char Triomphale de l’Antimoine. Trascorso, grazie a una tregua del male, l’autunno in Italia, a dicembre Goll entra nell’ospedale americano di Parigi, dove il 27 febbraio 1950 si spegne.

Quando, a ventinove anni, reduce dall’esilio svizzero vissuto in un clima di fervida operosità avanguardista, nel 1920 per le edizioni Kämmerer di Dresda dà alle stampe Die Chaplinade, Goll ha già alle spalle ormai l’apprendistato generoso e velleitario dell’espressionista militante. Adesso, non ancora sconfitto il vizio di estetismo proprio di un contegno poetico che mira, dionisiacamente, più a una liberazione estatica dalla vita che a una liberazione estetica dell’arte, all’isterismo comunque egotistico dell’Urschrei si prova a sostituire lo sberleffo: il gesto estremo nel quale si raccolse la worringeriana 'anima gotica' scampata all’inferno delle trincee per tentare di ritrovarsi oltre se stessa nell’assoluta devastazione.
Il pathos tardo-romantico che aveva fatto da sfondo alle sue prove precoci, nell’esperienza anche storica del disincanto radicale gli si offre comicamente, restituito nella forma smarrita di quella tragica doppiezza che conosce la comicità come il rovescio speculare, cocciutamente antinichilistico della disperazione. E in particolare in questo strambo poema a metà tra il canovaccio cinematografico e la sceneggiatura drammatica, più, forse, che nei testi coevi per il teatro, l’esito niente affatto appagante dell’appassionato sperimentalismo perseguito nel tempo lungo d’esordio lo porta a risolvere la parola nel tragicomico nonsense di un alogismo ardito e straniante, inteso a rompere con la pacifica, retoricissima e in fondo muta comunicabilità quotidiana del linguaggio.

Massimo Morasso

POL020
Francesco Vella

Acquaforte
115 x 165 mm
65 esemplari firmati e numerati